IL TETTO Case, ricoveri, progetti: dimore dell'emergenza

IL TETTO
Un itinerario tra centro storico e fuori città, ricercando tracce di memoria e presenze che possano testimoniare momenti intensi dell’urbanistica e della vita sociale nella Bologna novecentesca, quando si affrontarono nel breve e lungo periodo i mutamenti causati dalle guerre mondiali e dalle vicende economiche dell’intero paese, fino alle emergenze abitative che con varia natura si manifestano nella città di oggi.
Il tragitto intreccia le vicende della riforma urbana attuata dalla fine dell’Ottocento in poi entro le mura, caratterizzata da una forte speculazione fondiaria, con la dislocazione verso le periferie degli apparati di accoglienza delle masse popolari meno abbienti, nei nuclei abitativi appositamente concepiti, a volte in forme anche provvisorie.

Una provvisorietà ben manifestata nel caso dell’Ospedale Militare Baraccato in zona Beverara, che accomuna le emergenze della prima guerra mondiale a quelle successive degli esodati dalle campagne o dalle casupole del centro storico, cancellate dagli sventramenti della ristrutturazione urbanistica attuata fino alla fine degli anni Trenta.
Percorrendo un anello di periferia e attraversando spazi oggi ravvisabili e riconoscibili rispetto alla loro origine solo per debolissime tracce, ormai assorbiti dalla città canonicamente costruita all’intorno, si raggiungeranno altri ambiti di testimonianza, legati sia all’esperienza delle case Popolarissime, risposta razionalistica ai problemi dell’abitare, sia alle azioni di assistenza delle opere di carità, come quella di Padre Marella, che con il suo lavoro ha contrassegnato vari luoghi della città e del suburbio.

Sullo sfondo di questa città mutante scorre il tratto unitario dei portici bolognesi, che in più occasioni hanno dato un tetto ad abitanti senza casa, e tuttora lo danno. E che un riparo offrono per le piccole emergenze quotidiane di ognuno: un acquazzone, il solleone, i venti freddi dell’inverno.

Daniele Vincenzi

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BIBLIOGRAFIA

APPROFONDIMENTI

ALTRE OPERE

NOTE

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RIFUGI/SCALEA MONTAGNOLA ED EX CASA DEL BALILLA
Via dell’Indipendenza
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BAGNO PUBBLICO
Piazza XX Settembre
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RIFUGI/PORTICI PUBBLICI
Ricovero di Mendicità/via Albertoni
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OSPEDALE MILITARE DI GUERRA
Via della Beverara
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DOMUS MISERORUM
Via Marco Polo/Beverara
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POPOLARISSIME
Via Vezza
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CHIESA E CITTA' DEI RAGAZZI
Via Piana
CONDIVIDIGPXINIZIA
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ciclovisita
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RIFUGI/SCALEA MONTAGNOLA ED EX CASA DEL BALILLA
(Attilio Muggia, Luciano Petrucci)
Sotto la Scalea della Montagnola, inaugurata nel 1896 su progetto di Tito Azzolini e di Attilio Muggia, nel 1943 viene ricavato un rifugio antiaereo, che sarà in seguito ampliato, fino ad una capienza complessiva di 2.500 persone. Il grande rifugio della Montagnola sarà l’ultimo ad essere completamente sgomberato, continuando ad ospitare famiglie sfollate fino al 1947, ben oltre il termine del conflitto. Anche la vicina Casa del Balilla, realizzata nel 1939 da Luciano Petrucci, dopo i danni subiti a causa dei bombardamenti aerei ospitò nuclei di sfollati, fino alla demolizione del 1955, quando lasciò il posto alla nuova Autostazione degli architetti Vignali e Riguzzi.
Via dell’Indipendenza
BAGNO PUBBLICO
(Filippo Buriani)
Su progetto dell’ingegnere Filippo Buriani nel 1889 viene costruito un grande e moderno stabilimento di bagni pubblici nei pressi della Stazione ferroviaria e all’attacco della nuova via dell’Indipendenza, appena conclusa. Per il sindaco Alberto Dallolio si tratta di un vero e proprio “istituto educativo”, che deve ispirare al popolo “il sentimento della dignità personale, il rispetto del proprio corpo”, dando segno tangibile di come le strutture igieniche della città, nelle case e nei luoghi pubblici, abbiano segnato l’evoluzione delle abitazioni e dei costumi sociali. In uso fino al 1940, viene venduto dal Comune, per essere demolito e sostituito dall’attuale albergo.
Piazza XX Settembre
RIFUGI/PORTICI PUBBLICI
(Stadio, via De Coubertin)
A seguito dei bombardamenti aerei l’amministrazione comunale dispone provvidenze di guerra per la difesa della popolazione cittadina. Alle famiglie sinistrate sono assegnati alloggi provvisori in scuole e asili, lungo i portici dell’Arco Guidi e del Ricovero di Mendicità, e nel sotto chiesa della basilica di San Luca. Inoltre sono costruiti in periferia alcuni villaggi di baracche, e vengono allestite diverse mense. Sono allestiti vari ricoveri anti-bomba pedecollinari. Per i sinistrati si costruiscono nel circondario nuclei di abitazioni semi-permanenti a San Lazzaro, Casalecchio, Castenaso e Trebbo di Reno (in quest’ultima struttura sono ricoverate 132 famiglie in 22 padiglioni), mentre a Bologna vengono requisiti più di 1.000 alloggi.
Ricovero di Mendicità/via Albertoni
OSPEDALE MILITARE DI GUERRA
(Giulio Marcovigi, Attilio Muggia)
L’Ospedale militare di guerra, meglio definito Ospedale baraccato, venne concepito ed allestito nel 1917, poco dopo l’inizio della guerra all’Austria per accogliere gli ammalati del fronte. Bologna fu scelta in quanto considerata retrovia sicura, sufficientemente al riparo dagli effetti bellici. Per lo stesso motivo la città di fu sede di svariate attività produttive e logistiche, destinate a supportare lo sforzo bellico al fronte; tra queste il Carnificio militare, per lo scatolame dei ranci; lo Stabilimento Pirotecnico e le officine della Direzione di artiglieria, per il rifornimento e ricaricamento delle munizioni; l’Officina Protesi dell’Istituto Ortopedico Rizzoli e la Casa per i mutilati. L’ospedale a baracche, che ospita 825 letti e oltre 100 uomini di personale, è progettato dall’ingegnere Giulio Marcovigi, già autore dell’Ospedale Bellaria, del riassetto del Policlinico S. Orsola e del Niguarda di Milano, considerato un pioniere considerato della moderna ingegneria sanitaria. Il progetto esecutivo dei vari padiglioni del Baraccato è dell’ingegnere Attilio Muggia, ed è conservato presso l’Archivio Storico dell’Ordine Architetti Bologna. Costruito con materiali leggeri, per il suo carattere di temporaneità, alla fine del conflitto la struttura fu tuttavia occupata da masse di profughi, non abbienti e senzatetto, in una condizione di progressivo degrado delle strutture e di grave disagio sociale, fino a costituire un tema determinante nella gestione dell’ordine pubblico e nella programmazione urbanistica nei decenni del dopoguerra.
Via della Beverara
DOMUS MISERORUM
Il complesso delle “Case per gli umili” è realizzato a partire dal 1930 nel suburbio di via Lame, in località tra la Beverara e l’Oca, a cura dell’Istituzione Alessandro e Clodoveo Cassarini e Virginia Pallotti, ente benefico che amministra il cospicuo lascito testamentario di Alessandro Cassarini. Nell’insediamento vengono collocate le famiglie indigenti o in difficoltà che abitavano “tuguri e catapecchie” presso via San Giacomo, di imminente demolizione, per fare spazio agli edifici del nuovo quartiere universitario. I fabbricati sono organizzati attorno ad una corte comune chiusa da muri di recinzione, in cui sono le lavanderie comuni; gli alloggi sono minimi, con latrine comuni annesse al corpo scale. Intorno al 1980 l’amministrazione comunale valuta non idoneo il recupero/restauro degli edifici, pianificandone la demolizione e sostituzione con nuove tipologie edilizie, ispirate in modo alquanto costrittivo agli schemi di sviluppo delle abitazioni popolari del centro storico. In quello stesso periodo vengono restaurati i rioni superstiti accanto a via San Giacomo, da cui provenivano gli abitanti della Domus Miserorum: un singolare contrappasso urbanistico/architettonico.
Via Marco Polo/Beverara
POPOLARISSIME
(Ufficio tecnico IFACP e Francesco Santini)
Tra il 1935 e il 1937 vengono costruiti dall’Istituto Fascista Autonomo Case Popolari i tre nuclei delle Popolarissime, lungo le vie Scipione dal Ferro, Pier Crescenzi, Vezza, in zone relativamente periferiche ad Est, Nord ed Ovest della città. I fabbricati, ispirati in gran parte ai principi igienici, costruttivi e compositivi della teoria razionalista, ospitano in totale 728 alloggi, con dimensioni calibrate per famiglie di diversa entità. Il progetto Popolarissime, vanto della città e del regime dell’epoca, pone una drastica soluzione al problema del Baraccato ex-militare (vedi 1), decretandone la demolizione. I 3.500 abitanti che lì vivevano in pessime condizioni igieniche e sociali, saranno assegnati alle nuove case, così come altri residenti allontanati dal centro storico, sottoposto a ingenti risanamenti e rimpiazzi urbanistici.
Via Vezza
CHIESA E CITTA' DEI RAGAZZI
L’attività intensa e instancabile di Padre Olinto Marella (1882-1969), dedicata all’insegnamento e all’assistenza dei poveri, degli orfani e dei ragazzi abbandonati, trova in via Piana uno dei tanti luoghi di realizzazione di iniziative e di opere concrete. Dopo che nel 1930 gli era stata affidata la cura spirituale e di sostegno nel Baraccato, con il Pio Gruppo di assistenza negli Agglomerati dei Poveri è presente nei rioni più critici della periferia della città, dove porta viveri, vestiti, aiuto morale ed educativo, per il riscatto dei bambini e dei giovani. Nel 1938 vengono creati due oratori negli scantinati delle Popolarissime, in via Vezza e in via Pier Crescenzi. Nel 1939, in via Piana, viene ricavata da un ex capannone la Chiesa di Santa Gemma; in quei pressi nel 1948 fonderà la prima Città dei Ragazzi, recuperando ed attrezzando 5 laboratori-scuola, per insegnare il mestiere a falegnami, meccanici, sarti, calzolai e tipografi. Nel 1940 è costruita la Chiesa di via del Lavoro, in adiacenza alle Popolarissime di via Vezza, con annessi edifici per attività di assistenza, divenuta poi sede dell’Opera di Padre Marella. Nel 1954 la Città dei Ragazzi è trasferita a San Lazzaro di Savena, dove viene costruito anche il Villaggio degli sposi.
Via Piana
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